fotografia di Italo Cassa - Roma (Italia)
HAITI – Una carezza tra le macerie
E chi se lo dimenticherà mai Michael che carezza le macerie.
Lavorava per il ministero della difesa americano e, dodici anni fa, nel corso di una missione si ritrovò ad Haiti. Un colpo di fulmine e s’innamorò dell’isola e della sua gente, soprattutto dei suoi bambini. Mollò tutto e da allora vive con la sua nuova famiglia, quella dei bambini di strada di Port-au-Prince.
Viveva. Le tre case rifugio che era riuscito a metter su per loro in cui ne vivevano 150 e che facevano da riferimento per altri tremila si sono sbriciolate sotto i colpi di maglio del terremoto. Ed ora lui accarezza le macerie di una di esse.
“ Lionel e’ ancora lì sotto. Abbiamo provato a tirarlo fuori, ma non e’ stato possibile. Aveva otto anni, solo otto anni e di sofferenza ne aveva mangiato già troppe fette. Quando lo avevo incontrato l’anno scorso, aveva il corpo tutto ferito. La vita di strada e’ dura, ma qui ad Haiti e’ veramente un inferno. Negli ultimi anni i bambini di strada sono stati considerati dei nemici pubblici, spazzatura da liquidare ad ogni costo. Ne sono stati uccisi tantissimi dalla polizia. Si giustificavano dicendo che erano solo dei criminali. Ma ad otto o dieci anni cosa volete che possa fare un bambino? No, questo e’ un paese strano. Adora i suoi piccoli, ma e’ capace di far loro le cose più orribili”.
In cima alle macerie i piccoli amici di Lionel hanno deposto qualche fiore e dei fiocchi colorati. Un’altra carezza. E di carezze Lionel e quelli come lui ne hanno avute sempre molto poche. Le classi dirigenti haitiane, quel 10 o al massimo 15 per cento che controlla tutto ed immiserisce il paese facendosi complice degli interessi economici neocoloniali che da sempre rapinano il paese, con i bambini hanno un singolare rapporto. I loro studiano nei pochi college locali o nella vicina Miami. Quelli degli altri, i figli di quell’80 per cento i esclusi da tutto, invece…Haiti e’ stato il primo luogo al mondo a definire la schiavitù un crimine e a bandirla. Due secoli fa. Eppure ancor oggi le famiglie ricche dell’isola prendono i bambini e le bambine dei poveri e ne fanno dei restaveck, cioè dei piccoli schiavi. Servi, più che servi, piccoli servi per ogni lavoro e per ogni abuso. E quelli che vivono per strada sono considerati un’infezione da curare con fermezza. Veri e propri squadroni della morte hanno ripulito le strade a colpi di machete e di fucili a pompa.
Michael scuote la testa, mentre la mano continua a sfiorare i detriti. “ Lionel con noi era rinato. Aveva riacquistato il sorriso. Era un bambino intelligentissimo. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Il suo unico torto era esser nato povero.” Lionel aveva cominciato ad andare a scuola, un alunno modello. Qui la scuola e’ negata ai figli dei poveri. Come la sanità. Come tutto ciò che dia dignità e sicurezza ad un essere umano. O paghi o sei fuori. Quelli del fondo monetario internazionale anni fa hanno detto che lo stato doveva smetterla di offrire servizi gratuiti e doveva lasciare spazio ai privati. E così nel paese con gli indici di analfabetismo più alti del mondo, un’altra fetta di giovanissimi e’ stata espulsa dal diritto alla formazione.
Ma i poveri si auto organizzano. Piccole e povere scuolette comunitarie sono sorte in tanti quartieri, ma hanno così tanto poco a disposizione…comunque ci provano…La povera gente li ama i suoi bambini.
In un campo ho incontrato François. Gestiva un piccolo orfanotrofio, 50 piccolini. La struttura e’ crollata, ma grazie a Dio tutti salvi. Ora vivono in due tende e François ogni giorno fa loro lezione sotto un telone retto da quattro pali. “ sono il futuro del nostro paese, dobbiamo pensare a loro”, mi spiega. Di aiuti anche lui ed i suoi bambini ne hanno ricevuti pochissimi, quasi zero. Gli ultimi bianchi che ha incontrato gli hanno offerto diecimila dollari a bambino. “ dicevano che volevano adottarli, ma se vedevi le loro facce, potevi e dovevi sospettare ogni orrore. Ora spero in quelli dell’Unicef. Hanno detto che ci davano una mano. Un mese e mezzo fa. Non sono ancora tornati”.
Intorno a Michael si e’ radunato un folto gruppo di ragazzini, i suoi ragazzini. “ molti sono tornati per strada, qualcuno sono riuscito a sistemarlo in qualche tenda. A noi non arrivano aiuti. Finiscono come al solito ad alcune grosse organizzazioni che dei miei ragazzi però non si occupano. Ma ce la faremo. Ricostruiremo tutto”. Michael, ma chi te lo fa fare? Deve leggermi questa terribile domanda negli occhi. Mi sorride. Ha un sorriso buono Michael. “ i bambini, tutti i bambini, di qualsiasi colore abbiano la pelle, sono la famiglia dell’umanità’. La nostra famiglia, la mia famiglia. Li abbandoneresti mai i tuoi bambini?”.
E chi se lo dimenticherà mai Michael che carezza le macerie.
Silvestro Montanaro
Haiti 7 aprile 2010
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